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COMUNICAZIONE E STAMPA

Pianificazione urbanistica: necessario il rispetto della direttiva Bolkestein
11 Aprile 2024 

Nell’adozione degli atti di pianificazione urbanistica occorre tenere in considerazione anche i principi contenuti nella direttiva 123/2006/CE (c.d. Bolkestein) in materia di liberalizzazione del mercato.        È quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 2815 del 25 marzo 2024, con cui ha accolto il ricorso di un’impresa contro il diniego da parte di un Comune di una richiesta di cambio di destinazione d’uso – da industriale a vendita al dettaglio – di alcuni locali di sua proprietà.

Nel caso esaminato dai giudici, la Provincia aveva emanato una variante al Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) inserendo limiti e vincoli alla possibilità di cambi di destinazione d’uso e di nuovi insediamenti per attività commerciali di vendita al dettaglio.

Il Collegio ha ritenuto tale previsione in contrasto sia con quanto disposto dalla legge regionale Abruzzo n. 49/2012 – la quale ammette i mutamenti d’uso tra destinazioni compatibili o complementali, ricomprendendo tra queste le destinazioni produttive e gli esercizi di vicinato – sia con la direttiva Bolkestein e la relativa norma di attuazione nazionale (D.lgs. 59/2010).

L’obiettivo della direttiva richiamata è quello di facilitare la circolazione di servizi all’interno dell’Unione europea; la disciplina, infatti, si riferisce “a qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale” (art.1 D.lgs.  59/2010).

In virtù del collegamento esistente tra l’oggetto del ricorso e la direttiva Bolkestein, i giudici hanno sostenuto che:

  • in tema di rapporto tra i limiti imposti dagli atti di pianificazione urbanistica e i principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE (c.d. Direttiva Bolkestein) e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione, è necessario un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio” (Corte giustizia UE, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 345; sez. II, 24 marzo 2011, n. 400);
  • tali esigenze “devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale” (Corte cost., 25 febbraio 2016, n. 39; Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860; 13 gennaio 2014, n. 70);
  • gli atti della pianificazione territoriale non sono “esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano effettivamente finalità di tutela dell’ambiente urbano o siano, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese” (Cons. Stato sentenza n. 4294 del 2023).

Da ciò ne discende che gli strumenti urbanistici possono individuare la destinazione dei suoli e le attività che possono esercitarsi su questi, ma qualora venga ammessa una particolare tipologia commerciale, non è legittima l’introduzione di restrizioni quantitative al numero di esercizi; tale limitazione infatti “non si configura quale prescrizione meramente urbanistica, ma si traduce in una limitazione ingiustificata e discriminatoria della libertà di stabilimento e della libertà d’impresa e in una regolazione indebita dell’offerta sul mercato”.